martedì 4 dicembre 2012

Intervista a GIOIA novembre 2011


ROCCARASO:
Ha passato l’adolescenza a tirarsi il ciuffo sugli occhi per passare inosservato. E anche adesso, alla vigilia del tour, ogni tanto si chiude la porta alle spalle e parla con se stesso allo specchio. Nella vita e nella musica, non scommette sulle persone impeccabili: “Credo nella bellezza di una stonatura”

Al primo impatto, Marco Mengoni sembra una bestiola selvatica, ancora giovane e traballante sui lunghi arti, affascinante ma difficile da avvicinare. Siamo in quei momenti subito prima di un’intervista fatti apposta per depistare le parti, quando, ed è il caso, un timido può diventare sfuggente e ipercinetico, incapace per i primi minuti di sembrare a proprio agio.

Marco, 22 anni e 11 mesi, nato a Viterbo il giorno di Natale, vincitore della terza edizione di X Factor e, nel 2010, del Best European Act (mai un italiano prima di lui) agli Mtv Europe Music Awards, temporeggia e scivola via, poi torna e, gentile, fa gli onori di casa nel suo camerino: "Prego, dice rivolgendosi a me e alla sua addetta stampa Marta,  prendete quello che volete. Ci sono i succhini – s’avvicina un secondo e piroetta via dal tavolo imbandito e intonso – e la frutta, ma fossi in voi la eviterei perché sta a marcì. Volete il caffè?".

Il caffè scalda non solo le nostre mani gelide. Il primo impatto evapora anch’esso e ci sediamo, lui per terra, mai nella stessa posizione per più di dieci minuti, e iniziamo a chiacchierare nella buffa cornice del palazzetto del ghiaccio di Roccaraso, in provincia dell’Aquila. Qui nell’Alto Sangro, Roccaraso è famosa per gli impianti sciistici, ma oggi ancora si gode la quiete novembrina. Neppure un fiocco di neve ha sporcato i colori d’autunno e la città sembra quasi disabitata.

Dentro il palazzetto, invece, tutto il chiasso e il viavai che precedono un evento, in questo caso il Solo 2.0 Tour (dal titolo del disco, subito numero uno nella classifica italiana), che proprio a Roccaraso avrà la sua data zero. Questo, tuttavia, è il posto perfetto per fare le prove generali, anche dal vivo e con il pubblico, di un tour che ha tante particolarità, di cui è assai fiero il suo “re matto”.

Da quanto tempo è rintanato quassù a provare?
Una settimana circa. Ma mi pare un mese. Voglio per davvero seguire ogni aspetto di questo tour in prima persona e se c’è da restare fino alle cinque e attaccare alle sette lo faccio. Si esce di qui che non c’è un’anima in giro, solo un freddo dell’anima, ed è una bella visione quella di una città vuota, ma che aspetta qualcosa. Non c’è malinconia in questa solitudine di Roccaraso: c’è l’attesa.

L’attesa di quel caos che lei sta già vivendo con le prove. Quindi ora ha i baffetti perché non ha neppure il tempo di radersi?
Mannò! Volevo sembrare più cattivo, visto che bene o male devo dire la mia, devo anche… comandare. Insomma, così non sembro più cattivo? (Lo dice a fil di voce e aggrottando la fronte in una mimica spaventata, ndr).

Con i capelli tirati indietro e il baffo sottile mi ricorda vagamente Banderas.
In Intervista col vampiro?
Dovrebbe sbiancarsi un po’ …
Ma come, so’ così pallido… Guardi che so’ proprio pallido! (Si stropiccia il viso davanti a uno specchio, ndr).

Allora è vero anche che al mattino per prima cosa si mette gli occhiali da sole?
Le prime due o tre ore che sto sul palco ho gli occhiali. Credo che non mi si possa vedere, perciò è anche un gesto altruistico.

Dopo quelle due o tre ore che cos’è cambiato lì sotto?
Niente. Ha ragione. Sa qual è la verità?
No.
Che io, prima del successo, non avrei mai messo degli occhiali da sole. Pensavo fossero troppo stravaganti, che dessero nell’occhio e questo mi spaventava tantissimo. Il “vecchio” Marco adolescente girava con il ciuffo lungo schiacciato sugli occhi, pantaloni della tuta, felponi in cui affondare, per passare inosservato, mettere le mani avanti e non essere giudicato. La musica ha tirato fuori la mia eccentricità, che non è una mascherata, è quello che ho schiacciato per tanto tempo. Io ero, sono e resto timido. Non sul palco, ma nella vita. Ora sono molto più libero, ma ancora certe cose non riesco a farle.

Per esempio?
Chiamare un taxi. O prenotare un ristorante. Me vergogno proprio (e le mani spariscono nelle maniche del giacchetto di jeans, il viso è solo occhi, enormi, scuri, onesti, ndr).

Ora invece ha in mano il suo tour: mi racconta che cos’ha di speciale?
Nel nostro piccolo, viviamo una situazione opposta a quella dominante nella società. Qui lavorano solo giovani, anche se non hanno tutta quell’esperienza che può avere un professionista. Dalle grafiche, ai costumi fatti da una ragazza dell’Accademia di Brera, ai ballerini, che stavano a scuola a studiare fino a ieri, ho voluto ribaltare i soliti canoni. Anche perché a questo punto essere o non essere professionisti, in Italia, non so più che significhi. Per me le persone devono essere professionali e va data loro una chance: ma quando sono giovani, non quando hanno già tre figli! La band che mi accompagnerà è sempre quella pre-X Factor: sono ventenni, un po’ acerbi, ma su di loro ho scommesso contro tutti. Potevo avere dei professionisti impeccabili, ho voluto credere nella bellezza di una stonatura, di un errore, quando alla base c’è un feeling e una fiducia così forte. Meno professionismo, e meno giro di soldi c’è, più sale la voglia di spaccare.

Le sue canzoni parlano di solitudine. Lei come vive la sua?
Nessuno al mondo scampa a lunghe o brevi parentesi in cui è solo. È diverso quando quella condizione la vivi come una necessità. Io ricerco la solitudine perché ne ho un profondo bisogno. Anche qui, specialmente qui, che ho contatti umani moltiplicati per 100 rispetto alla normalità, ogni tanto mi isolo. Mi guardo allo specchio, mi metto a dialogare con me stesso, cerco di criticarmi – e mi riesce meglio – o di farmi i complimenti. È il mio momento di astrazione dagli altri nel caos di adesso, mentre nella vita normale la solitudine la riempio bene, la vivo bene, ci sto e non ho bisogno di distrazioni. A casa non ho manco la tv.

Come è messo, invece, ad affetti? Sembra dura conquistare la sua fiducia. O sbaglio?
Non sbaglia, lo dico sempre che sono un cinico str*** e pure testa di c***, ci siamo capiti. Mi fido molto poco e sì, sono diffidente. Forse perché sono ancora insicuro, più di quanto ammetta con me stesso. Ho paura di svelarmi e di essere giudicato, specie se sono persone che stimo o con cui c’è un feeling speciale. Se prima ero così, il successo ha esasperato la diffidenza. Per forza di cose. Però continuo a credere che in questa società la diffidenza, se non diventa paranoia, è davvero utile.

Ha sbagliato spesso nel dare o non dare fiducia a qualcuno?
Chi non sbaglia? Se uno un minimo vive, è impossibile che non faccia errori del genere. Io ho perso dei treni, anzi no diciamo dei taxi, perché ho fatto delle scelte sbagliate. Ma intanto grazie al cielo ho la libertà di scegliere. E di sbagliare. Al contrario sono stato ferito da persone a cui mi ero dato, ma son cose che riesco a cancellare. Non porto cicatrici. Dopo la prima botta di dolore, penso che protrarre depressione e sofferenza troppo a lungo sia ingiusto verso se stessi. A un certo punto te devi vole’ bene.

Ho notato un certo suo malcontento verso il nostro Paese …
Purtroppo sì. E dico purtroppo perché io adoro l’Italia, penso sia un bacino, geograficamente, culturalmente e artisticamente, di una potenza rara. E se le cose vanno male mi arrabbio. Manca l’intenzione da parte di chi ha il potere di fare la cosa migliore. Al solito prevale l’interesse personale. Basta con il magna magna, ve ne prego. Spero che questo governo tecnico aggiusti qualcosa.

Com’è stato duettare con Lucio Dalla per la canzone Meri Luis, che è nel suo nuovo album?
Ti aspetti che uno come Lucio, che ha fatto la storia della musica, ti sputi in capoccia pure mentre gli baci i piedi, e invece ha un’umiltà incredibile, soprattutto ha una fame di musica da pischello. Lucio è assurdo nel miglior senso che si può dare a questa parola. Lucio, e mi vengono i brividi a parlarne, è energia pura e pulita. Stavo registrando nel suo studio e lui per la gioia saltellava sulla sedia con il piede ingessato! Oltre a Lucio ho avuto la fortuna di conoscere Adriano Celentano e Mina, e ho capito che i grandissimi hanno una voglia di arte infinita e la voglia di combattere contro quello che non va nel nostro sistema. Hanno la gioia, ecco. E io, che non sono nessuno, ora che quella gioia l’ho vista nei loro occhi lo devo fare per forza, ’sto lavoro. Perché, tra qualche anno, quello sguardo lo voglio anch’io.(Carlotta Sisti per GIOIA novembre 2011 )



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